Il costruttore all’0fficina Ferrarese ricorda il primo incontro con Ferrari: «Ora mancano i giovani e gli sponsor»

Trentacinque anni di carriera, 20 nel circus della Formula 1, 340 Gran Premi disputati e 37 piloti che si sono susseguiti al volante delle sue monoposto. Questa, in sintesi, la carriera del costruttore faentino Gian Carlo Minardi, ospite venerdì sera dell’Officina Ferrarese, accompagnato dal commissario nazionale ASI Benito Battiliani. Dai ricordi di gioventù in famiglia fino al suo lavoro attuale di talent scout per l’accademia Ferrari. «Appena diciottenne decisi di fare il pilota, ma capii subito che non era la mia strada. Un amico mi chiese di occuparmi della nascente scuderia romagnola, la Scuderia del Passatore, impegnata nelle formule minori».

Poi l’incontro da brividi con il Drake. «Il 1974 fu determinante per la mia carriera in Formula 1 quando, il 26 novembre, fui invitato con una telefonata dall’attuale presidente della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo, a presentarmi dal commendatore. Alle 15 dello stesso giorno ero a colloquio con Enzo Ferrari. Entrai in un ufficio buio e stretto, illuminata da tre faretti: lui era lì ad aspettarmi. Parlammo per quattro ore, durante le quali fumai un pacchetto di sigarette, anche se lui odiava il fumo, e scaturì il primo accordo: allevare giovani piloti italiani e la gestione di una macchina. Il lunedì successivo il settimanale Autosprint pubblicò, in prima pagina, una caricatura di Ferrari vestito da passatore e io che gli lustravo le scarpe. Ma era la prima volta che un privato usciva da Maranello per gestire un’auto con lo stemma del cavallino rampante».

Nel ’79 Minardi diventa costruttore dando vita al Minardi Team che parteciperà fino all’84 al campionato europeo di Formula 2 per poi, nell’85, debuttare in Formula 1. Il primo punto in Formula 1 arrivò nell’88 con Pier Luigi Martini. «Ai tempi si prendevano punti solo fino al sesto posto, arrivare sesti era come vincere un GP e quel punto valeva milioni. Ero un costruttore e non vendevo le mie auto: questo, forse, il mio più grande errore».

E i ricordi lasciano il posto alla Formula 1 dei nostri giorni, dove è la tecnologia a fare la differenza sul pilota.

«Le gomme sono tonde e nere, ma non sapevamo mai quali fossero quelle vincenti. Nel ’96 correvano 38 macchine non 20-22 come adesso, i costi sono aumentati, ci sono molte più restrizioni e gli ultimi 3 team classificati hanno le qualità che aveva la Minardi quando navigava a metà classifica. Purtroppo mancano i giovani e gli sponsor. Io cambierei molte regole sportive: farei una macchina meno tecnologica, compiendo un passo indietro nello sviluppo dell’aerodinamica e usando solo soluzioni tecniche che poi vengano utilizzate nel migliorare la sicurezza nelle auto di serie».

La lunga carriera è raccolta nel volume di Stefano Pasini dal titolo “Gian Carlo Minardi racconta 35 anni di gare, dalla Formula Italia alla Formula 1”.

Federica Achilli

Club Officina Ferrarese del Motorismo Storico

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